Cosa ci ha insegnato lo smart working?

smart working pro e contro

Con l’incertezza generale sull’avvento di un secondo lockdown, ci troviamo a riflettere sullo smart working. Quali sono stati i pro e i contro?

Stando ai report ufficiali, l’Italia è sempre fanalino di coda in molte delle innovazioni che nel resto d’Europa sono quasi abitudini. Fa parte di questa categoria anche il cosiddetto “telelavoro”, quindi la possibilità di eseguire il proprio lavoro da casa senza recarsi in ufficio.

Scopriamo, però, che anche il resto del mondo non aveva ben chiara l’efficacia di questo nuovo metodo: stando a La Stampa, lo stesso Tim Cook, CEO di Apple, si è detto sorpreso delle nuove potenzialità che lo smart working ha riservato per il colosso mondiale.

Come si legge nell’articolo, a quanto pare non tutti i lavoratori torneranno in sede, appunto perché molte cose hanno funzionato meglio da casa. Quest’ultima affermazione in maniera particolare apre una discussione interessante sull’effettivo valore dello smart working.

Indice

Ante-lockdown

Prima della chiusura, in Italia il “telelavoro” era (ed è tutt’ora) regolamentato da una manciata di leggi o poco più. Per questo l’attivazione dello smart working è stata una novità, considerando che il lavoratore ha dovuto, in molti casi, usare i propri dispositivi e all’inizio non è stato nemmeno così semplice.

Eppure, nonostante tutto, il lavoro telematico ha avuto ottimi risultati, consentendo al lavoratore di stare con la famiglia ma di svolgere comunque i suoi compiti. Con l’abbassarsi dei casi, a giugno/luglio, e considerando che la fine dello stato di emergenza era fissato al 15 ottobre, si erano quindi tirate le prime somme.

Appariva chiaro già in quel periodo come fosse assolutamente necessario regolamentare a dovere lo smart working: le proposte discusse poi dal Ministro del Lavoro Catalfo puntavano ad un’apertura verso intese tra aziende, intese nazionali o quote. Quindi, non più ad un accordo fra lavoratore e datore di lavoro come effettivamente previsto dalla legge in vigore. 

Malattia e smart working

Altre domande più importanti si sono presentate, di logica conseguenza. Facendo un esempio: essendo io positivo asintomatico e quindi non potendo presentarmi fisicamente a lavoro, è possibile per me lavorare da casa? Poco prima del 15 ottobre, l’INPS finalmente si è espressa in materia: la malattia non viene garantita a coloro in quarantena o ai lavoratori fragili in smart working.

In caso di malattia conclamata, chiaramente, il lavoratore è temporaneamente incapace al lavoro. Questo però mette in difficoltà il possibile positivo asintomatico che potrebbe lavorare da casa. Vista poi l’alta risalita dei contagi di questi giorni, è stato necessario prolungare lo stato d’emergenza al 31 gennaio 2021, e con esso anche lo smart working. Il premier Conte, all’inizio cauto nei confronti di un secondo lockdown, ora non può purtroppo escluderlo.

Questo mette di nuovo in risalto la necessità di una effettiva regolamentazione dello smart working, essendo ancora attuato in maniera semplificata (quindi con accordo fra lavoratore e datore di lavoro). Nonostante questo, alcune aziende intendono stendere un accordo per la possibilità di lavorare in smart working.

I pro e i contro

Ritorniamo quindi all’affermazione di Tim Cook: cosa ha fatto davvero lo smart working per il lavoratore e per le aziende italiane?

Pro

Un’indagine voluta dall’associazione Cifa dice che dal punto di vista del lavoratore l’esperienza dello smart working è piaciuta moltissimo. La possibilità di bilanciare il lavoro con la vita privata ha aiutato di molto la sopportazione del lockdown.

Da non dimenticare il risparmio, segnalato da molti, dato che non c’era più la necessità di comprare il pranzo o usare i mezzi, così come l’aumento di produttività e l’incremento dell’autonomia nel raggiungimento degli obiettivi.

Contro

Ma ci sono anche dei lati negativi, e non sono affatto trascurabili.

Buona parte dei lavoratori ha fatto fatica a dividere i tempi, oltre ad aver avuto molto spesso l’impressione di essere sempre reperibili. Di conseguenza, l’aumento delle ore lavorative non ha portato ad un adeguato riconoscimento dei straordinari.

Questi due lati negativi aprono una parentesi importante: il diritto di disconnessione. Il diritto del lavoratore di non essere costantemente disponibile e di non rispondere alle comunicazioni di lavoro durante il riposo. Anche questo importante aspetto va ad arricchire il bagaglio di una normativa assente che dopo la pandemia andrebbe assolutamente rivista e ampliata.

Cosa abbiamo imparato

Il COVID ci ha insegnato davvero molto. Dall’e-commerce allo smart working, abbiamo imparato quanto siamo in grado di fare in effetti con un computer e una buona connessione internet.

Lo smart working, seppur affatto perfetto, ci ha insegnato un nuovo modo di vivere il lavoro che può essere comodamente replicato anche quando ci saremo lasciati questa pandemia alle spalle. Pensiamo infatti a tutte quelle persone che devono, per un motivo o per l’altro, rimanere in casa, magari per assistere un malato o perché genitori di un figlio piccolo. Grazie allo smart working potrebbero conciliare tranquillamente le due cose.

Insomma, finalmente il lavoro si è slegato, almeno in parte, dal doversi presentare ogni giorno in ufficio.

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