Smart Working: regolamento e istruzioni per l’uso

Regolamento smart working

Scopri la normativa in vigore sul lavoro agile.

Abbiamo già parlato dello smart working in Italiaconcentrandoci in maniera particolare su quello che ci ha insegnato durante la prima ondata della pandemia di Covid-19.

Con la seconda ondata, lo smart working si è confermato il metodo migliore per continuare a lavorare rispettando le distanze di sicurezza e cercare di salvare un’economia già ferocemente piegata.

Con questo articolo vogliamo quindi darti una visione completa su questa bella scoperta che ha permesso a moltissime aziende di tirare avanti nonostante le avversità. 

Indice

Cosa significa smart working?

Letteralmente si traduce con “lavoro intelligente”. Ciò che non sappiamo però è che il lavorare da casa non è l’unico significato che si cela dietro le due parole inglesi.

Entriamo nel dettaglio: nel business, infatti, viene inteso come una modalità di lavoro non vincolata da orari o luoghi di lavoro, che mira principalmente ad un aumento della produttività, dell’agilità e organizzazione del lavoro.

In definitiva si tratta di un metodo di lavoro che permette di lavorare quando si vuole, purché si rispettino le otto ore giornaliere, e dove si vuole: non solo casa propria, ma anche in un altro ufficio o filiale aziendale.

Le differenze tra smart working e telelavoro

Smart working e telelavoro non sono sinonimi. Ecco cosa intendiamo: nel 2017, la Gazzetta Ufficiale ha riportato una prima, ufficiale definizione dello smart working. Così viene definita:

“una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

Possiamo, fra l’altro, leggendo attraverso il burocratese, delineare le caratteristiche principali che rendono lo smart working ciò che è: flessibilità, autonomia e responsabilizzazione del dipendente.

Il regolamento dello smart working non prevede un luogo fisso da cui lavorare: può essere che l’impiegato lavori in una filiale aziendale così come da casa, prevedendo quindi il diritto alla disconnessione, previsto per coloro che hanno necessità particolari quali figli piccoli da seguire o cure mediche a cui sottoporsi. 

La definizione scelta per la Gazzetta Ufficiale per lo smart working è più simile a quello che si intende per “telelavoro”, termine che infatti viene usato anche nella legislazione, di cui parleremo più tardi. 

Con telelavoro infatti s’intende più propriamente ciò che è comunemente concepito come smart working: il lavoratore svolge le sue ore lavorative da casa e può essere deciso che debba, almeno una volta a settimana, presentarsi in ufficio.

Per semplicità però si preferisce usare il termine smart working per definire entrambe le possibilità, ma in verità queste differenze sono importanti e sostanzialmente messe nero su bianco.

Legislazione e DPCM

La legge 81/2017, la legge sul lavoro agile, è l’unica che in Italia parla di smart working, o meglio di telelavoro. Il problema principale della legislazione esistente è che è decisamente esigua e non copre tutti i problemi che sono venuti man mano a crearsi durante i mesi di lockdown generale. 

Di nuovo scendiamo nel dettaglio: secondo la legge del 2017, il lavoro deve essere stabilito con un accordo scritto fra il lavoratore e il datore di lavoro. L’accordo deve esplicitare:

  • in che modo viene svolto il lavoro, ad esempio per fasi oppure obiettivi,
  • per quanto tempo,
  • quali sono i turni di riposo,
  • il diritto di disconnessione e di recesso.

Viene qui definita anche la parità di trattamento economico dello smart working con quello tradizionale. Purtroppo, questo è tutto quello che abbiamo a livello legislativo in materia. 

Smart working semplificato: cosa significa?

Semplicemente, s’intende quanto specificato anche nel precedente paragrafo: lo smart working si attua senza gli accordi previsti dalla legge, quindi in assenza del già nominato accordo individuale e su base generale

Nulla di più “astronomico”: semplicemente, in assenza di tempo per elaborare una legge più definita e chiara sullo smart working, al momento è adottato dalla generalità dei lavoratori. 

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Smart working obbligatorio: per chi e fino a quando?

Mentre con il lockdown lo smart working era obbligatorio per tutti coloro che erano in grado di svolgere il loro lavoro in un luogo diverso dalla propria azienda (e in questo caso era effettivamente casa propria), con l’abbassarsi dei casi l’obbligo era stato man mano revocato e i dipendenti richiamati in ufficio, con diverse modalità. C’è chi lavorava una settimana da casa e una in ufficio, ad esempio, con i colleghi presenti disposti a scacchiera in maniera da evitare di propagare il contagio e muniti di mascherina. 

Con il rialzarsi vertiginoso dei casi, l’obbligo è stato ripreso ma solo per alcune categorie di lavoratori.

Vediamo chi sono:

  • dal 16/10/2020 i lavoratori fragili (immunodepressi, pazienti oncologici o in terapia salvavita, coloro che per via della loro patologia non possono indossare la mascherina e persone disabili di cui alla legge 104), sia nel pubblico che nel privato, sono obbligati a lavorare in smart working. 
  • Già a luglio, invece, era previsto che il 50% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, le cui mansioni non obblighino a rimanere in ufficio, dovessero lavorare in smart working. Ciò è rimasto confermato con l’ultimo DPCM di ottobre, oltre anche al mantenimento della divisione delle ore lavorate settimanali una parte in ufficio una parte in smart working. 

Il DPCM del 01/03/2020 estendeva a tutto il territorio nazionale la modalità dello smart working ma in assenza di un accordo individuale, come previsto dalla legge, invitando solamente a provvedere alle dichiarazioni di salute e sicurezza in via telematica. I vari punti come la decisione di orari, diritti di disconnessione e quant’altro erano quindi delegati ad una comunicazione al lavoratore, quindi in generale e non in maniera individuale.

Smart working: agevolazioni per le aziende

Il Decreto Rilancio nell’articolo 120 prevede:

  • un credito d’imposta per le aziende che investono per l’adeguamento degli ambienti di lavoro al fine di rispettare le misure di sicurezza contro il Covid-19. Il credito d’imposta è rivolto a imprese in luoghi aperti al pubblico, come bar e ristoranti; associazioni, fondazioni ed enti privati anche se non svolgono attività rivolte al pubblico. Per usufruire del credito d’imposta bisogna inviare all’Agenzia delle Entrate una comunicazione con l’ammontare delle spese sostenute fino al mese precedente alla data di sottoscrizione della comunicazione e l’importo delle spese che si pensa di fare anche in seguito fino al 31/12/2020. Il credito d’imposta è pari al 60% delle spese effettuate nel 2020 fino a un massimo di 80.000€. Il termine ultimo della consegna è il 30/11/2020. Il credito d’imposta potrà poi essere utilizzato con modello F24, da presentare all’Agenzia delle Entrate, a partire dal 01/01/2021 e non oltre la fine dell’anno 2021. 
  • l’incentivo allo smart working. Mancano però misure strutturali che diano veramente una spinta all’integrazione dello smart working sia come metodo per superare questa e altre crisi che come nuovo modello di business per le aziende. Ricordiamoci: l’idea dietro lo smart working è quella di superare la concezione “classica” che si ha di lavoro, puntando alla produttività e alla riorganizzazione del carico lavorativo.

Ad oggi, in Italia, rimane confermata l’aura di sospetto nei confronti dei lavoratori, ed è uno, se non il principale, dei motivi per cui lo smart working non viene adottato con serietà e spirito imprenditoriale dalla maggior parte delle PMI.

Smart working: sono previsti incentivi per le aziende?

Non si può parlare di veri e propri incentivi come s’intendono in modo classico, ma di una semplificazione della comunicazione del lavoro agile.

Cosa intendiamo: la procedura per “denunciare” i dipendenti che lavorano in maniera agile avviene tramite l’unico invio di un file Excel, senza allegare l’accordo individuale che, abbiamo già visto, è momentaneamente non previsto per via dell’emergenza Covid-19. Purtroppo su questo fronte mancano davvero molti strumenti che potrebbero, una volta e per tutte, invogliare gli scettici a tentare la via dello smart working per i propri dipendenti.

Smart working a scuola: le regole per studenti e docenti

Sempre il Decreto Rilancio, all’articolo 32, prevede che l’anno scolastico 2020/2021 si svolga in presenza, a meno che ci siano dei casi di sospensione delle lezioni a causa del Covid-19 stesso. Visto l’aumento vertiginoso dei casi, questo è infatti cambiato, con parte degli studenti in presenza e una parte in DAD (Didattica A Distanza). Per la scuola Secondaria di Secondo Grado, cioè per le scuole superiori, la didattica a distanza è stata via via ampliata fino a raggiungere il 100% delle lezioni.

Per la Pubblica Amministrazione, invece, è stato deciso che il personale ATA e gli Assistenti Tecnici, in base al tipo di attività che svolgono, lavorino in smart working; i docenti, di conseguenza, a seconda delle classi in cui insegnano, lavorano attraverso la DDI (Didattica Digitale Integrata). Chiaramente, anche in questo ambito i lavoratori fragili hanno l’obbligo di lavorare in modalità agile. 

Lavoro da remoto e congedo parentale

C’è stata parecchia confusione sull’argomento. Inizialmente era stata prevista la possibilità per i genitori di lavorare in smart working solo se il figlio convivente, di età minore ai 14 anni, fosse stato messo in quarantena in seguito a un contatto con un positivo a scuola.

Visto l’aumento dei contagi, possibili non solo a scuola ma anche in altri ambienti come la palestra o la piscina, questa possibilità è stata ampliata. 

L’INPS ha poi precisato che il lavoro da casa può essere prolungato in base all’allungamento della quarantena o se anche un altro figlio risulta contagiato.

Considerate le nuove disposizioni, ci sono dei ragazzi con meno di 14 anni che svolgono le loro lezioni da casa senza essere in quarantena. Ciò significa però che il genitore deve recarsi al lavoro lasciando il minorenne da solo in casa. E qui si apre la prima contraddizione: in teoria, il lavoro da casa esiste anche per non abbandonare il minore, a prescindere dal suo stato di salute. 

Con la distinzione delle regioni in base alla gravità della loro situazione interna, ci sono state ulteriori modifiche. In breve: le scuole superiori eseguono la DAD per la totalità delle classi, per le medie il terzo anno è in presenza, così come le elementari e l’asilo.

Ora, il genitore può lavorare da casa per tutta la quarantena (o in una sua parte) del figlio convivente, purché abbia meno di 16 anni. La stessa cosa è prevista anche se il figlio, di nuovo minore di 14 anni, segue la DAD.

Nel caso di due figli di età compresa fra 14 e 16 anni, i genitori possono lavorare da casa senza retribuzione o indennità di riconoscimento di contribuzione, ma con divieto di licenziamento.

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Bonus Baby Sitter: si può richiedere anche in smart working?

Il Bonus Baby Sitter era stato introdotto con il Decreto Cura Italia e poi prorogato dal Decreto Rilancio. Il bonus è fruibile al posto del congedo parentale e ha una durata massima di 15 giorni.

Innanzitutto, è bene dire che il bonus è usufruibile anche se entrambi i genitori lavorano in smart working. Possono richiederlo anche i nonni purché non siano conviventi con il nucleo familiare. Il bonus ha un tetto massimo di 600€, che diventano 1.200€ se non si ha richiesto il bonus con il Decreto Cura Italia. Il limite di età è di 12 anni, che viene a decadere se si hanno figli con disabilità. Si può richiederlo anche in presenza di più figli minori di 12 anni, ma il tetto rimane comunque quello dei 600€.

Come si può usare il bonus?

Il bonus può essere utilizzato sia per pagare la baby sitter che per i centri estivi o di accoglienza, e vale anche se i figli sono ospiti di un centro diurno, in caso di affido o adozione. 

Chi può richiederlo?

Per il mondo privato:

  • i lavoratori dipendenti
  • gli iscritti alla Gestione Separata 
  • i lavoratori autonomi iscritti all’INPS e alle casse professionali.

Per il settore pubblico:

  •  i medici, infermieri, operatori socio sanitari e in definitiva tutti coloro che sono maggiormente impegnati con la lotta al Covid-19; per loro il tetto è di 1.000€, che è poi diventato di 2.000€.

La domanda dev’essere presentata presentare sul sito dell’INPS e il bonus viene erogato tramite il Libretto di Famiglia. In assenza di quest’ultimo, bisogna obbligatoriamente prima aprirne uno per poter quindi usufruire del bonus.

Attenzione: ci sono anche dei criteri di esclusione. Nel nucleo familiare non ci devono essere genitori che hanno sostegni al reddito in seguito a licenziamento o alla sospensione dell’attività lavorativa, disoccupati o non lavoratori.

Il decreto Ristori bis, ha riconfermato il bonus baby sitter, ma solamente nelle regioni rosse dove l’anno scolastico ha ripreso in DAD.

Smart working e permessi 104: si possono chiedere?

Il regolamento dello smart working riguarda in via prioritaria alcune categorie di lavoratori, quali le lavoratrici che si trovano nei tre anni dopo la fine del congedo di maternità, e come abbiamo visto, chi ha figli minori disabili a carico. Non solo: per tutto lo stato di emergenza possono lavorare in modalità agile i lavoratori stessi che hanno disabilità gravi o che in famiglia abbiano una persona in tali condizioni. 

In smart working si può usufruire dei tre giorni stabiliti per legge anche in maniera frazionata. A maggio e giugno erano aumentati i giorni di assenza retribuita, che erano saliti a dodici. La richiesta di lavorare in smart working anche qui passa attraverso il datore di lavoro.

Smart working nella Pubblica Amministrazione

Abbiamo già in parte parlato della PA, ma entriamo nel dettaglio.

Per Pubblica Amministrazione, innanzitutto, si intendono:

  • le scuole e gli Istituti di ogni ordine e grado
  • le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi o associazioni
  • le UniversitàCamere di Commercio e via discorrendo.

Si assicura su base settimanale o mensile il lavoro agile almeno del 50% di tutti gli impiegati, in modalità semplificata fino al 31/12/2020. 

Gli enti però devono assicurare il più possibile l’esecuzione del lavoro in modalità agile, alternando giornate in presenza e da casa.

La rotazione dei dipendenti che lavorano o da casa o in presenza tiene conto:

  • della salute dei componenti della famiglia del dipendente
  • della presenza di figli a carico minori di 14 anni
  • del numero di mezzi presi per raggiungerlo
  • la distanza fra la residenza e il luogo di lavoro

Vengono chiaramente messi nero su bianco il diritto ai tempi di riposo e disconnessione; viene data anche la possibilità di determinare diverse fasce in un cui il dipendente è raggiungibile diverse dal normale orario di lavoro.

È richiesta la consegna di un questionario, chiamato POLA (Piano Organizzativo del Lavoro Agile), volto al monitoraggio del lavoro da casa per migliorare e diffondere il lavoro agile negli uffici pubblici. Si richiede l’impegno dell’amministrazione di fornire gli strumenti digitali, qualora non fossero sufficienti, per agevolare ulteriormente il telelavoro.

Anche le riunioni devono essere svolte il più possibile online salvo per le ragioni, salvo che per motivate ragioni. 

Il 06/11/2020 è inoltre nato l’Osservatorio Nazionale del Lavoro Agile, formato da 27 rappresentanti scelti da Governo, Conferenza Unificata delle Regioni, INPS, CNEL, ISTAT, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, Scuola Nazionale dell’Amministrazione e ENEA. Ci sarà inoltre una Commissione Tecnica di supporto formata da 14 esperti.

L’Osservatorio dovrebbe raccogliere informazioni su importanti aspetti quali quanto efficientemente ed efficacemente la PA riesce a lavorare in modo agile, tenendo in considerazione le nuove tecnologie, l’impiego delle risorse energetiche e la sostenibilità.

Lo stesso organo monitora la PA per quanto riguarda l’organizzazione collettiva e individuale, raccogliendo i già citati questionari.

Ultimo obiettivo dell’Osservatorio è promuovere il rispetto del regolamento dello smart working attraverso un convegno biennale dal nome “Conferenza Nazionale sul Lavoro Agile nelle Amministrazioni Pubbliche”.

È quindi evidente l’intenzione del Ministro del Lavoro di adottare lo smart working anche dopo la crisi da Covid-19, probabilmente per portare nuova aria a un settore abbastanza stagnante come quello dell’amministrazione pubblica. 

Smart working privati: niente norme, solo raccomandazioni

Il DPCM in quest’ambito non dà nessun obbligo, affidandosi alla coscienza del datore di lavoro. Semplicemente raccomanda, o consiglia, di favorire lo smart working per almeno il 75% dei dipendenti.

Ciò purtroppo significa che, se anche le cose dovessero ulteriormente peggiorare, alcuni dipendenti dovranno comunque recarsi a lavoro. Ciò si unisce al fatto che il datore di lavoro risulterebbe perseguibile penalmente solo se il dipendente contraesse il virus sul posto di lavoro non rispettando le norme di contenimento del contagio, ma non se, ad esempio, lo contraesse su un mezzo pubblico. 

Si legge quindi l’intenzione del governo di non chiudere del tutto le aziende permettendo comunque un flusso di persone all’interno delle mura aziendali. Tali disposizioni presentano grandi falle, a partire da quel “fortemente raccomandato” che sicuramente, sulla coscienza di molti datori di lavoro, vale poco meno di nulla.

Buoni pasto e smart working

Durante la prima vera applicazione del regolamento dello smart working in Italia, sono sorte ai lavoratori moltissime domande sul suo svolgimento. Su questo certamente non aiuta la legislazione praticamente inesistente. Fra le tante domande è di particolare risalto quella sui buoni pasto: possono essere erogati in smart working?

Analizziamo anche la disposizione che regola i buoni pasti per il lavoratori è del 2017, precisamente la Legge 122 del 07/06/2017. Secondo la definizione ivi fornita, si erogano i buoni pasto per sostituire la mensa aziendale. Ciò vale anche per coloro che non hanno diritto ad una pausa pranzo.

Ma c’è di più: i buoni pasto non sono obbligatori, sono benefici accessori, allo stesso livello delle auto aziendali. È il datore di lavoro a scegliere se erogarli o meno, a meno che non siano previsti nei contratti collettivi o in quello individuale.

Considerando però che la legislazione sullo smart working lo mette allo stesso livello di quello classico, in teoria allora i buoni pasto dovrebbero essere compresi. Giusto? E invece no! Il datore di lavoro decide se erogarli o meno e di conseguenza decide anche se distribuirli in smart working.

In tutto questo dobbiamo ricordare che in condizioni normali lo smart working non significa solo lavorare da casa. Se ad esempio il dipendente è a lavoro in un’altra sede è probabile che si prosegua con l’erogazione del buono pasto. 

Insomma: questo argomento è così spinoso che alcuni titolari sono addirittura finiti in tribunale! In uno caso specifico, dove i membri della CGIL di Venezia hanno citato il Comune in giudizio sulla questione, il Tribunale della città lagunare ha infatti rigettato la richiesta dell’accusa definendo “incompatibile” lo smart working con i buoni pasto. In un diverso caso, ma che è arrivato a coinvolgere la Corte di Cassazione, quest’ultima ha quindi ribadito, con l’ordinanza 16135 del 28/07/2020, che il buono pasto non è un diritto o una retribuzione, ma una forma assistenziale erogata solo in certi casi.

Quindi in buona sostanza no, i buoni pasto non sono compresi quando si lavora da casa. Ricordiamo però che spetta anche al datore di lavoro decidere: se egli desidera erogare comunque i buoni pasto ai dipendenti, può farlo.

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Pausa caffè: come ci si regola?

Sicuramente il lavoro da casa non concede quello che è spesso considerato un piacere ma anche un bel momento conviviale con i colleghi. Facciamo riferimento alla pausa caffè, che essa sia in un bar o di fronte ad un distributore automatico.

Diversi studi hanno sottolineato l’importanza della pausa caffè in un ambiente lavorativo. Questo stop permette di staccare un po’ dal processo lavorativo, di schiarirsi le idee e spesso di confrontarsi con i propri colleghi.

Ne emerge che in buona parte dei casi si ritorna alla scrivania dopo la pausa più carichi e pronti ad affrontare il rimanente della giornata.

In smart working questo è venuto a mancare. Molti psicologi del lavoro suggeriscono caldamente di non rinunciare a questa abitudine anche quando si lavora da casa. È sufficiente bersi un caffè lontano dal proprio computer e in una stanza che sia il più confortevole e rilassante possibile. Si potrà così replicare i benefici della pausa classica.

Pensa che per certi ambienti il momento conviviale è così fondamentale che è stata addirittura inventata un’app, chiamata non a caso “Hallway” (corridoio) per permettere ai colleghi in smart working di collegarsi per i dieci minuti di rituale. L’app prevederebbe una pausa ogni due ore in orario lavorativo, ma la feature è chiaramente personalizzabile in base alle policy aziendali. All’ora designata per il break, l’app avverte il dipendente via chat, mandando anche il link a cui aggiungersi per la videochiamata con i colleghi. Un’idea davvero carina che sta permettendo di mantenere in contatto colleghi di tutto il mondo in maniera informale e piacevole.

Ma passiamo al lato “professionale”: in smart working, bisogna timbrare la pausa caffè? Non ti stupirà sentire che l’argomento è uno dei più difficili da affrontare. Non è ancora chiaro infatti cosa fare di preciso quando si lavora in presenza. Sappiamo che, a norma di legge, ogni lavoratore ha diritto ad almeno dieci minuti di pausa per ogni turno di lavoro che superi le sei ore giornaliere, a meno di diversi accordi contrattuali.

Inoltre, il come e il quando della pausa caffè dovrebbero essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro. A volere essere pignoli anche l’andare in bagno dovrebbe essere considerata una pausa! In breve: l’argomento è molto difficile anche nell’applicazione “normale”, quindi in ufficio o altri luoghi di lavoro. Una vera risposta purtroppo ancora manca. Per ora ci si può ancora godere il tempo di un caffè senza che si debba renderne conto a qualcuno. 

Smart working e lavoro straordinario: si può fare?

Premettiamo questo paragrafo dicendo che non c’è un vero e proprio divieto sugli straordinari in smart working. Anche qui, in assenza di legislazione, molto è affidato alla volontà del datore di lavoro e del dipendente.

In linea generale, vista la flessibilità che caratterizza il lavoro da casa, lo straordinario non dovrebbe essere possibile. Chiaramente nulla impedisce di mettersi d’accordo con il proprio datore di lavoro. In un periodo lavorativo intenso si può richiedere di fare gli straordinari anche mentre si lavora da casa.

Storia diversa invece per l’impiego pubblico, dove una circolare ha definito incompatibili gli straordinari con lo smart working. Questo non li vieta in maniera assoluta, quindi, ma in gran sostanza sono per lo più da evitare. 

Smart working e timbrature: si possono fare online e da remoto?

Sicuramente sì!

Noi di Telnet Data troviamo lo smart working un modo utilissimo per migliorare la qualità del lavoro! Per questo abbiamo pensato alle aziende che hanno implementato o vogliono implementare in maniera efficace lo smart working.

Data Working è infatti la soluzione perfetta per timbrare sia in smart working che in telelavoro: attraverso l’app, basterà inquadrare un codice QR code univoco e generato ex novo ogni volta, che per questo assicura l’unicità della timbratura. I dati vengono poi salvati in automatico sul cartellino in cloud, da dove è possibile gestire tutte le ore lavorate, i giustificativi e le flessibilità.

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